Visioni d'insieme

Le corse sono tutto ciò che ho

Le corse sono tutto ciò che ho

Nasce planando sul vento grazie ai genitori, entrambi piloti d’aereo. A 13 anni mette le mani sulla cloche e vola in alto nei cieli.

A 16 anni si lancia con il paracadute, a 17 anni prende la licenza da pilota. Si iscrive al college, dove scopre il suo amore per la fisica “La sua bellezza mi ha semplicemente affascinato – non dimenticherò mai le derivate delle equazioni di Maxwell e l’eleganza e l’inevitabilità di esse”. Si laurea in Fisica a 22 anni e subito dopo diventa ingegnere di ricerca e sviluppo alla Republic Aviation di Farmingdale, nello stato di New York, lavora così al programma che contiene in sé i semi di quello che sarà il progetto Apollo. A 26 anni supera le prove del primo programma scienziato-astronauta. Ma qui avviene un brusco cambio di rotta. Janet Guthrie aveva sempre immaginato sé stessa con l’aria sotto i piedi, ma decide di  comprare una Jaguar XK 120 coupé e inizia a correre. La strada la cattura, la velocità è come l’aria per lei, inizia a gareggiare nelle gimkane, poi prove sul campo e scalate. Abbandona così la sua passione per il volo, deve inghiottire l’asfalto correndoci sopra più velocemente di chiunque altro. Cambia auto, gliene serve una più potente, sceglie la Jaguar XK 140 e inizia a competere nel circuito Sports Car Club America.

Decide di salire di livello, assembla da sé il motore della sua auto, studia gli ammortizzatori, il cambio, la frizione. Tutto dev’essere calibrato alla perfezione. Respira benzina giorno e notte, per non perdere tempo dorme nella sua auto. “È una questione di spirito, non di forza. Si tratta di fare del proprio meglio in ogni piccolo momento. Non c’è mai una pausa. Devi avere desiderio, un desiderio molto intenso di andare avanti” diceva Guthrie.

Nel 1976 diventa la prima donna a gareggiare in una gara superspeedway della Nascar Winston Cup. Non riesce a qualificarsi, l’auto non è abbastanza performante. I suoi colleghi, tutti uomini, la prendono di mira, nessuna donna può gareggiare con loro, proprio in quanto donna non è al loro livello. “La corsa è una questione di spirito, non di forza” dirà lei. AJ Fort, tre volte campione del mondo guarda oltre e vede in quella ragazza tenace una persona da battere, una con cui correre, le presta un’auto di riserva e Janet con quell’auto si qualifica. L’anno dopo gareggia nella sua prima Daytona 500 arriva 12esima, il motore non regge, esplodono due cilindri a dieci giri dalla fine.  Vince comunque il premio Top Rookie, miglior esordiente.  Gareggia ad Indianapolis e arriva nona in una gara in cui corre con un polso fratturato. Gordon Johncock, vincitore di due Indianapolis, intervistato dal Philadelphia Inquirer Magazine disse “Ha fatto un ottimo lavoro. La donna ha guidato per 500 miglia con un polso rotto. Non so se ce l’avrei fatta”.

 Nello stesso anno a Bristol arriva sesta, miglior piazzamento di sempre per una donna in una gara della Nascar Cup. Diventa una star, un esempio da seguire per tante giovani donne in cerca di emancipazione, le bambine si fanno portare dai genitori a guardare le gara di questa donna veloce come il vento. Ma il clima è ostile, nessuno vuole sponsorizzare una donna. Perché di fatto Janet Guthrie in quel mondo così maschilista, resta solo una donna. Non riesce a trovare i soldi per poter gareggiare, cerca ovunque, ma due anni dopo si arrende e si ritira.

“Le corse prendono tutto ciò che hai, intellettualmente, fisicamente ed emotivamente e poi devi trovare circa il dieci per cento in più e usare anche quello”.

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