Visioni d'insieme

La viandanza mi dette l’anima

La viandanza mi dette l’anima

Tra le pareti rosa del suo studio immerso di libri parla con voce calma, serena, in equilibrio con il mondo che si è creata intorno.

Decise che la “viandanza” era la sua dimensione “danzando per la via, mi dette un’anima”. Era anche poetessa, non poeta “Divenni femmina, nel linguaggio, prima che nel corpo”

E sul suo essere “affeminata” ci ha girato in tondo per buona parte delle sua vita. “Tutta la prima parte della mia poesia è una dichiarazione di guerra alla natura che affida alla donna il ruolo di conservazione della specie, di progenitrice, che è grande e anche piccolissimo, è molto limitante” disse in una intervista.

Spiegò tutto in quello che appare come un manifesto, una dichiarazione d’intenti di ciò che era e che sempre sarà, La viandanza, dove scrive “Sin dalla prima infanzia impariamo, senza discutere, a dare un sesso a tutto: persone, animali, cose e concetti. Il Sole, la Luna, il Soggetto, l’Anima hanno messo in noi radici profonde. Quasi serbassimo la remota memoria di quello che imparammo immersi nel liquido amniotico dove galleggiavamo come pesci fra fonde risorgive di balbettii dimenticati. […] Divenni femmina, nel linguaggio, prima che nel corpo. Affeminata, appunto, sfrontata distorsione di senso, provocazione, proterva venuta alla luce. […] La parola “viandanza”, per esempio, apolide e intrusa in quanto alla grammatica, navicella di lungo corso nel gran mare dei simboli classici (homo viator, wanderer, nostos o naufragio, identità o perdita) danzando per la via, mi dette un’anima. […] La poesia, come una madre pietosa, raccoglierà le spoglie delle sue creature. Cosa volete che vi dica più di questo nell’epoca del balenante selfie? Qualcosa che illumini il buio e duri più dell’attimo dello struscio del dito sullo schermo?”.

Tutto qui. Questa è Biancamaria Frabotta, poetessa si, ma anche militante studentesca durante il Sessantotto, nel movimento delle donne già dai primi anni Settanta e per ovvia necessità del suo spirito, membro attivo del Partito di Unità Proletaria. Era donna, poetessa, femminista, quando questa parola aveva un senso e diceva sempre cose di sinistra, non le veniva difficile nei suoi articoli sul Manifesto, sulle cui pagine era una e trina con Rossana Rossanda e Giuseppina Ciuffreda

“Mi presti i tuoi occhi per guardarti? A chi negheresti una lente nitida sul mondo?”, in realtà non ha mai avuto bisogno di latri occhi. Nitida è sempre stata la sua visione del mondo, il suo saper scegliere da che parte stare. Cristallina la sua posizione sin da giovanissima quando scrisse una tesi di laurea sul poeta e politologo illuminista Carlo Cattaneo.

Ha amato, come pochi sanno fare, con leggerezza, dipingendo una vita a tinte pastello “Mio marito diffida delle cose oscure. Così, per amor suo, io cambierò stile e per lui terrò in serbo cose chiare”. Come acquerugiola i suoi versi. Virava poi, solo se necessario, su tinte più forti, per dire al mondo io vedo, io so e per farlo scriveva versi “Qui dimora l’intero e tu disperso ci ragioni…Una sola rondine non mi ti rende la stagione perduta. E io troppo tempo ho abitato in te come la ragnatela in un tronco morto”.

Per quarantasei anni ha scritto poesie, raccolte tutte insieme da Mondadori quando ancora era in vita. L’editore continuava a mandarle le bozze per revisionarle e lei, alla terza volta lo chiamò e gli disse“se continuo a leggere queste poesie le ripudio”, per poi spiegare quel senso di nausea “La mia poesia è intrecciata alla mia vita, è qualcosa che mi viene addosso”, quante volte ancora avrebbe potuto reggere alla marea? 

“Bisogna di nuovo imparare a vivere” scrisse nella poesia La materia prima, innalzando poi quelle sei parole a un mantra. Intravide prima di altri il lento svanire di tutto ciò che è essenziale e vero, come una sfumatura di cui non si colgono i contorni e poi pian piano neanche il fulcro.

“Sono come le pulci i poeti acquattati nel pelo del mondo” e in quel manto affondava le mani e pescava. Prima Amelia Rosselli e poi Patrizia Cavalli e Vivian Lamarque, le sue Donne in poesia.

È andata via, in silenzio, con quel passo lieve e la voce melodiosa che avuto per tutta la vita, lasciandoci senza rimpianto, venendo in soccorso con i suoi  versi “Coloro che amiamo e che abbiamo perduto non sono più dove erano ma sono ovunque noi siamo”

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