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Kiki de Montparnasse, la regina

Kiki de Montparnasse, la regina

“Se siete stanchi dei libri scritti dalle signore della letteratura per entrambi i sessi, questo è un libro scritto da una donna che non è mai

stata una signora. Per quasi dieci anni è stata a un passo dal diventare quella che oggi sarebbe considerata una Regina, il che, naturalmente, è molto diverso dall’essere una signora”.

Con queste poche righe Ernest Hemingway descrisse la regina incontrastata della Parigi anni Venti e Trenta, Kiki de Montparnasse, nell’introduzione all’autobiografia di lei, Kiki’s souvenirs.

Partiamo dall’inizio, Kiki nasce povera e illegittima. “Mia madre se la svignò a Parigi, lasciandomi con la nonna, che si trovò così una mezza dozzina di mocciosi sulle spalle. I nostri padri avevano tralasciato il piccolo particolare di riconoscerci” spiegò lei della sua travagliata infanzia. Era molto bella e questo le spianò la strada per diventare modella, anzi la modella più famosa di Parigi e quindi della Francia e per estensione di tutto il mondo. Posò nuda per la prima volta a 14 anni, la madre, nel frattempo ritornata sui suoi passi, in un rigurgito di benpensante maternità si oppose alla sua carriera di modella dandole della puttana e gettandola fuori di casa.

La piccola Kiki decise di diventare indipendente e di autodeterminarsi. Nessuno si era preso cura di lei, a nessuno avrebbe permesso di decidere per lei. Divenne amica e musa ispiratrice di tutti gli artisti che gravitavano a Parigi in quegli anni. Naturalmente Hemingway con cui abitualmente si sbronzava e che di lei scrisse “Monparnasse divenne ricco, prosperoso, sfarzosamente illuminato, brulicante di locali da ballo, fiocchi d’avena, (fate la vostra scelta signori, disponiamo di tutto questo ora, per la prima colazione). Kiki dominò l’epoca di Montparnasse più di quanto la Regina Vittoria non abbia dominato l’epoca vittoriana”. E poi Picasso, Jean Cocteau, Picabia, Modigliani, Kisling e su tutti Man Ray, l’amore della sua vita. Il loro primo incontro fu degno di una scena da film. Lei era seduta al tavolino di un bar con un’amica, non indossavano il cappello e il cameriere si rifiutò di servirle. Se bastava così poco per scandalizzarlo, perché non andare oltre? Si tolse le scarpe e poggiò un piede sul tavolo e uno sulla sedie. Ora almeno figurativamente impersonava l’appellativo che le era stato dato. A guardare la scena divertito e ammaliato un giovane Man Ray appena arrivato in Francia. Le chiese di posare per lui. Andarono via, fecero tutto tranne che scattare foto in quel loro primo incontro.

Si amarono per sei anni, un tempo indefinito che volò via tra la gelosia di lui, il senso del possesso di cui non riusciva a liberarsi e gli scatti di Kiki, bellissimi, sensuali ed eterni.

Come il celebre Violon d'Ingres, conservato oggi al Getty Museum di Los Angeles, dove c’è Kiki di spalle e i segni a effe del violoncello sulla sua schiena. Suo anche il primo piano dello scatto con le lacrime di vetro, Glass Tears. A renderla eterna non solo Man Ray, Moïse Kisling la ritrasse in Nu assis, i capelli raccolti con la riga al centro, un telo rosa a coprirle le gambe, la luce calda a illuminarle il corpo. Modigliani si soffermò sul collo lunghissimo, gli occhi languidi, i capelli corti e ribelli. Fernand Lége scelse lei per il suo film Ballet mécanique, immortalando il suo sorriso.

L’indipendenza era ciò che più le interessava “Ho solo bisogno di una cipolla, un tozzo di pane e una bottiglia di vino rosso, e troverò sempre qualcuno che me li offre” scrisse in quegli anni. Voleva vivere ed essere se stessa, a qualunque prezzo.

Fu ricercata dalla Gestapo, fuggì in America, si perse tra alcool e droghe, bruciò troppo e troppo in fretta, morendo sola a 52 anni. Al suo funerale a Parigi, una folla di sconosciuti. Degli amici di un tempo non era rimasto più nessuno. Solo Tsuguharu Foujita a seguire il feretro ricordando i bei tempi passati di Montparnasse.

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