“La frontiera dell’ignoranza si sta espandendo” scrisse il fisico teorico Richard P. Feynman in Sei pezzi facili.
Ridere dell’incapacità di dare all’intelligenza una chance di prosperare e fiorire era una delle sue capacità innate, una di quelle che l’hanno fatto apprezzare dai suoi colleghi e amare dai suoi studenti come fosse una rockstar. Richard P. Feynman nel tempo libero suonava il bongo e ritraeva spogliarelliste e prostitute in disegni a matita sotto lo pseudonimo di Ofey. Girava con un furgoncino, Dodge Tradesman Maxivan, che fa decorare a Long Beach con i diagrammi inventati nella sua teoria dell’elettrodinamica quantistica, personalizza anche la targa Qantum, omaggio alla quantistica. Invita i suoi studenti a bighellonare con lui parlando dei perché del mondo e dell’infinitesimalmente piccolo.
Tra un concerto e un ritratto si dedica al progetto Manhattan, nella squadra di Oppenheimer, ma anche al computer quantistico e alla nanotecnologia, di cui fu in qualche modo l’inventore.
“Il principio cardine della scienza, quasi la sua definizione, è che la verifica di tutta la conoscenza è l’esperimento. L’esperimento è il solo giudice della “verità” scientifica. Ma qual è la fonte della conoscenza? Da dove vengono le leggi da verificare? L’esperienza stessa aiuta a produrre le leggi, nel senso che ci dà dei suggerimenti. Ma ci vuole anche fantasia per creare da questi suggerimenti le grandi generalizzazioni, per indovinare gli schemi meravigliosi, semplici eppure molto strani che reggono tutto, e poi sperimentare per verificare se abbiamo veramente indovinato. Questo processo immaginativo è così difficile che nella fisica ci si divide il lavoro: ci sono i fisici teorici che inventano, deducono e tirano a indovinare le nuove leggi, ma non le sperimentano, e ci sono i fisici sperimentali che fanno gli esperimenti, inventano, deducono e tirano a indovinare”. Ironico e lontano da ogni forma di adulazione, vince il Nobel per la Fisica nel 1965, in un primo momento decide di disertare la premiazione, troppi riflettori su di lui, “Non vedo per quale motivo qualcuno dell’Accademia Svedese debba decidere se questo lavoro sia abbastanza nobile da ricevere il premio. Il premio l’ho già ricevuto. Il premio è il piacere della scoperta, il contributo alla ricerca, il fatto che la gente usa il mio lavoro. Sono queste le cose reali. Le onorificenze non sono reali, secondo me. Non credo nelle onorificenze”. Poi ci ripensa, non andando le attenzioni sarebbero state maggiori. Considera snob tutti i circoli che in qualche modo lo volevano tra i suoi membri, lui punta solo alla conoscenza e ne espande il significato “prendiamo un bel fiore. Uno scienziato percepisce di sicuro la sua bellezza, ma non si ferma qui. C’è della bellezza anche nel pensare a perché a un certo punto l’evoluzione ha portato ad aggiungere il colore ai fiori, per attrarre gli insetti. Significa per esempio che gli insetti possono distinguere i colori. Non c’è motivo di pensare che la conoscenza sottragga piacere. La conoscenza, sempre, aggiunge piacere”.
Dopo la laurea al Mit e a Princeton, Harvard gli offre una borsa di studio in matematica, lui rifiuta perché a Princeton insegna Albert Einstein. I suoi studi partono da Dirac.
“Ogni passo, ogni parte dell’insieme della natura è solo un’approssimazione dell’intera verità, ovvero di quella che per quanto ne sappiamo è l’intera verità. Ogni nostra conoscenza, i effetti, è un’approssimazione di un qualche tipo, perché sappiano di non sapere ancora tutte le leggi. Perciò, tutto viene imparato solo per essere poi disimparato, o, più probabilmente, per venire corretto”.
L’esser stato per così tanto tempo sottoposto alle radiazioni nucleari gli costò la vita. Due rari tumori minarono il suo corpo oltre misura, ma non la sua mente sempre lucida e divertita dai fatti della vita. Le ultime parole scritte sulla sua lavagna sono state “Quello che non posso creare, non lo posso capire” e prima di accomiatarsi da questo mondo disse “Non sopporterei di morire due volte. È una cosa così noiosa”.