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Dedekind e Cantor, oltre l’infinito

Dedekind e Cantor, oltre l’infinito

Julius Wilhelm Richard Dedekind è un matematico tedesco. Studia nella prestigiosissima Università di Gottinga, quella dei 44 premi Nobel.

Tra i suoi docenti c’è Gauss, il principe della matematica, che sceglierà lui come ultimo allievo e gli conferirà un dottorato di ricerca sulla teoria degli integrali di Eulero.

Georg Ferdinand Ludwig Philipp Cantor nasce in Russia a San Pietroburgo ed è il matematico che dimostrerà l’incontenibilità  dell’infinito.

Si incontrano in Svizzera, a Interlaken nel 1874 e tra loro nascerà un reciproco rapporto di condivisione, un lungo carteggio. Un rapporto senza il quale forse Cantor non avrebbe creduto in sé stesso cedendo alla limitatezza umana. Dedekind è il primo a comprenderne la vastità del pensiero. Cantor è uno di quei matematici per cui i numeri hanno ali con le quali far volare il cosmo intero. Non pone limiti alla sua mente e viaggia oltre l’immaginario.

Dona al mondo il concetto di infinito nella teoria dei numeri primi, i numeri reali, la loro non numerabilità, dimostrerà l’infinità degli infiniti.

Per far comprendere le sue teorie deve semplificarle, spiega ai suoi allievi il concetto di infinito usando il paradosso del Grand Hotel di Hilber. Se un albergo ha un numero infinito di camere e arrivano nuovi ospiti sarà sempre possibile ospitarli se questo numero infinito è numerabile. Un concetto impossibile per quasi tutti i suoi colleghi accademici del tempo ma che lui offre ai suoi studenti come un Santo Graal dal quale dissetarsi per ricevere in cambio la conoscenza.

L’altezza delle sue teorie si può misurare con le parole di David Hilbert “La nuova aritmetica transfinita e la Teoria dei Cardinali sono una delle più belle creazioni del pensiero umano. Nessuno ci scaccerà mai dal paradiso che Cantor ha creato per noi”. Mentre il mondo accademico lo considerava un folle, Hilbert della teoria sui numeri transfiniti disse “mi appare come il fiore più bello dello spirito matematico e in generale una delle più alte prestazioni dell’attività puramente intellettuale dell’uomo”.

E viaggiando oltre l’umana comprensione Cantor usò la matematica per comprendere le origini del mondo e il suo infinito altro non poteva essere che Dio. “L'infinito attuale si presenta in tre contesti: in primo luogo quando si realizza nella forma più completa, in un'essenza mistica completamente indipendente, in Dio, che io chiamo Infinito Assoluto o, semplicemente, Assoluto; in secondo luogo quando si realizza nel mondo contingente, creato; in terzo luogo quando la mente lo coglie in abstracto come una grandezza, un numero o un tipo di ordine matematico” scrisse in quel brodo primordiale in cui la sua mente galleggiava dove la matematica si confonde con la filosofia e insieme danno vita alla religione.

Ma una mente così vasta non poteva essere contenuta nei canoni del tempo. In pochi lo compresero in vita. Fu osteggiato, criticato. L’incapacità dell’intero mondo accademico di vedere ciò che lui vedeva lo portò alla depressione. Anche lui, a volte, non riusciva a contenere se stesso. Troppo vasta la sua mente. Troppo grandi i suoi pensieri. Fu considerato un pazzo mentre era semplicemente un visionario.

In una delle tante lettere a Dedekind scrisse “Fintanto che voi non mi avrete approvato, io non posso che dire: lo vedo, ma non ci credo”. Aveva bisogno di sapere che le sue visioni erano reali, almeno per un’unica persona. Che c’era una mente in grado di capire ciò che lui vedeva e sentiva e sapeva di essere giusto e vero. Fu ricoverato più volte, durante la prima guerra mondiale, il più grande matematico del mondo visse di stenti e morì nell’ospedale psichiatrico di Halle nel 1918. Custodendo come un segreto ciò che nessun altro aveva voluto vedere: l’infinito.

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