Visioni d'insieme

Tutte le tessere di un mosaico

Tutte le tessere di un mosaico

Facciamo un gioco, scegliamo un luogo, l’ex convento dei Teatini di Lecce e quattro donne.

 Una sociolinguista, una attivista  e femminista intersezionale, una content creator e una esperta in comunicazione e restiamo ad ascoltare, nell'ambito del festival Conversazioni sul futuro, cosa hanno da dirsi e da dirci. 

Se poi dovessimo aver bisogno di una sinossi, basterebbe dire “L’appartenenza a un gruppo sociale discriminato sembra distorcere e a volte annullare la possibilità di agire efficacemente con le proprie parole”, che poi è la definizione di ingiustizia discorsiva che ci ha regalato Claudia Bianchi nel suo Il lato oscuro del linguaggio.

Ognuna presenta una singola tessera che andrà a comporre il mosaico finale. Le loro sono quattro, ce ne sono infinite altre da aggiungere, accostare, ognuna imprescindibile, unica e differente. Ma quelle quattro tessere hanno tracciato il metodo. 

Partiamo dalla fine, dall’ultima, quella inserita da Isabella Borrelli, esperta in comunicazione, che ci ricorda come la visione di una società in cui l’uomo eterosessuale, bianco, benestante, sano e con un alto grado di istruzione è solo una piccola parte dell’insieme. Molto specifica, quindi molto ristretta. Se allarghiamo il nostro campo visivo ci appare chi non è uomo, chi non è bianco, chi non è eterosessuale, chi non è ricco, chi non è sano, chi non ha un grado di istruzione elevato. Chi non è lui, si certo, ma anche chi è tanto altro. E più si va a fondo in questa ricerca più ci sono differenze. Chi non è nato nello stesso Paese, nello stesso continente, nello stesso emisfero. Chi appare fisicamente o mentalmente differente da quello standard iniziale. Le varianti sono infinite, come infinito è l’insieme di quelle tessere che compongono il mosaico finale. 

Andiamo a ritroso e scopriamo come è facile escludere le tessere di quell’insieme, ad esempio non mettendole nelle condizioni di rivendicare la loro posizione in quel mosaico finale. Victoria Oluboyo, attivista e femminista intersezionale ha una sua idea. In che modo si possono rivendicare diritti, narrare se stessi se a chi ha voce non viene dato un microfono? Facile, basta scegliere chi in quella minoranza - nel caso di Oluboyo immigrati di prima o seconda generazione che siano neri come lei o più genericamente non bianchi - non ha ancora gli strumenti per parlare di sé. Incartarsi con le parole è facilissimo. Insomma mettere un microfono davanti ad un giovane immigrato appena sbarcato in Italia è un trucchetto sin troppo facile per sminuire la capacità di narrarsi. Parliamo noi per voi, diciamo noi chi siete, cosa volete a nostro uso e consumo, visto che voi non siete in grado di farlo. La storia è piena di persone che parlano a nome di altre e che fanno dell’alterità il loro cavallo di battaglia. C’è sempre un nemico dietro l’angolo da combattere. 

Smontiamo l’idea atavica che la mia è la normalità e che tutto ciò che non mi appartiene non è normale. E quindi a grappolo che io sono buona, chi non è come me è cattivo. Che io sono nel giusto, gli altri (sempre gli altri) sono nel torto. 

Ma chi non vuole che il mosaico alla fine si completi cosa può fare? 

Può disegnare quella tessera che manca proprio lì accanto alla mia, come sporca, pericolosa, portatrice di malattie. Se fosse così, chi la vorrebbe accanto?

Daphne Bohemien content creator,  toglie quell’alone di sporco e pericoloso dalla sua tessera. Si tratta sempre di raccontare le cose e di scegliere come questo racconto dev’essere fatto, dove nulla o quasi è lasciato al caso.

Infine arriva Vera Gheno, socioliguista, che prende tutte le tessere e le mette ognuna al suo posto, una dopo l’altra, spiegando perché la prima tessera non è l’unica, perché la seconda non è incapace di essere e determinarsi, perché la terza non è brutta, sporca e cattiva. Spiega tutti i perché, con tutte le parole che la contraddistinguono e alla fine tutto è chiaro e finalmente appare la visione d’insieme. Il mosaico è completo.

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