Visioni d'insieme

Antony Burgess, l’importanza di chiamarsi Hemingway

Antony Burgess, l’importanza di chiamarsi Hemingway

Per tutta la vita sarebbe stato in anticipo sui politicamente impegnati, nella capacità di vedere le forme emergenti di politiche e di regimi.

Antony Burgess famoso in tutto il mondo per aver scritto Arancia Meccanica e il Gesù di Nazareth di Zeffirelli, parla di Ernest Hemingway a cui ha dedicato 180 pagine per tratteggiare senza tuttavia limitare, la sua figura.

Ripercorre la sua vita intensa e burrascosa, il suo intento raggiunto di scrivere “una vera, semplice frase dichiarativa” e il mondo che gli girava intorno. Di quando Sherwood Anderson consigliò a lui e alla sua prima moglie di “Andare a Parigi, dove l’arte viene presa sul serio, dove, come dice Henry James, perfino l’aria è soffusa di stile”. Il giovane Hemingway approfittò di una opportunità datagli dal Toronto Star che era disposto a pubblicare una serie di Lettere dall’Europa, con in tasca quattro lettere di presentazione scritte da Anderson per Gertrude Stein, Sylvia Beach, Ezra Pound e Lewis Galantière volò a Parigi di cui scrisse anni dopo in Festa Mobile, quella “Parigi dei bei tempi andati, quando eravamo molto poveri e molto felici”.

Il mito di Hemingway ha nutrito intere generazioni, alle volte debordante nei suoi eccessi, ma come scrive Burgess “Lasciate soli i sensi di Hemingway, ed essi funzioneranno con acuta animalità, registrando odori, immagini e suoni con una precisione verbale che è un vero portento. Lasciate che partecipi la mente, il che significa filosofia trita e ritrita, e peggio di tutto, il vedere se stesso come un eroe tormentato, ed ecco che la posa tentenna, crollano le immagini, il lettore arrossisce per l’imbarazzo o lo sforzo di trattenere il riso”.

L’uomo e lo scrittore sin quando hanno camminato fianco al fianco hanno contribuito a renderlo quello che era in vita. L’autore che ha scritto Per chi suona la campana è lo stesso uomo che in una sala da pranzo vide arrivare Marlene Dietrich avvicinarsi ad un tavolo e poi girarsi per andar via perché sarebbe stata la tredicesima, lui prontamente si alzò dal tavolo accanto, la raggiunse e le disse “sarei lieto di fare il quattordicesimo”, con tutto il fascino di cui era capace. Furono amici per tutta la vita.

E poi il premio Nobel per la letteratura, amato e odiato al tempo stesso perché “nessun figlio di puttana che abbia vinto il premio Nobel è più riuscito a scrivere qualcosa che valesse la pena di essere letta”, di quando pensò di donare la medaglia del premio ad Ezra Pound “meritevole di tutte le medaglie letterarie che fossero mai state coniate”, anche se alla fine la donò al santuario della Virgen de Cobra, santa patrona di Cuba.

Impossibile raccontare tutta la sua vita, ma L’importanza di chiamarsi Hemingway edito da Minimum Fax e tradotto da Patrizia Aluffi, di Antony Burgess è un respiro nella vita di uno dei più grandi scrittori del Novecento o come scrive lui stesso nelle ultime pagine del libro “Hemingway è una forza generatrice di ulteriori sviluppi pari  a quella di Joyce, Faulkner o Scott Fitzgerald. E anche nel peggio ci ricorda che, per impegnarsi nella letteratura, bisogna prima impegnarsi nella vita”.

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