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Un caffè alla finestra

Un caffè alla finestra

Ci vorrebbe una finestra aperta, sulla strada, dove folle si muovono avanti e indietro, struscio. Ci vorrebbe una finestra aperta su un bar.

E un barista che chiede semplicemente “cosa prende signora”, senza chiedere “ha il green pass”. Perché in fondo non si è dentro a prendere un caffè d’asporto, è un caffè già libero, fuori dagli schemi delle categorie dei decreti che si susseguono e restringono porzioni di felicità a chi il vaccino non ha.

Una finestra aperta su una possibilità, un sottile equilibrio che non scalfisce alcuna libertà. Gestire senza differenze almeno il rito del caffè, “a che bell'ò cafè pure in carcere 'o sanno fa co' à ricetta ch'à Ciccirinella compagno di cella ci ha dato mammà”, cantava De André.

Un caffè caldo in un bicchiere di plastica compostabile, la schiumetta e l’aroma consueto che l’aria inquinata non muta.  Quel momento per molti che riappacifica con il mondo, che segna il risveglio pieno e completo, benzina per carburare, pausa in una giornata di lavoro, per poi ricominciare, momento irrinunciabile di convivialità.

Cercare un bar con finestra aperta è un miraggio, come un ago in un pagliaio, sperando che ci sia per uscire da questa monotonia. Monotonie  di attese in auto che la persona che ti vuol bene entri in un bar qualunque della città e si faccia consegnare la preziosa mercanzia, lei che può e ha voglia di condividere con te il rito del caffè,  seppur guardando il mare, bicchierino in mano, bustina di zucchero e via.

Caffè, che non è mai abbastanza, come il tempo passato a peregrinare, se solo ci fosse un bar con una finestra aperta in questa città.

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