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Torre Testa, un vuoto che pensa

Torre Testa, un vuoto che pensa

Lì dove la falesia cede centimetri alla lenta e insistente erosione del mare, il vento di tramontana sottrae polvere alle pietre, lì sopravvive.

Lei resta vedetta sulla costa, con tenacia e caparbietà, contro le intemperie e la trascuratezza dell’uomo, resiste e osserva il mare Adriatico.

Torre Testa a pochi chilometri da Brindisi aspetta che il tempo trascorra e che qualcuna si adoperi per lei che degli sguardi dell’osservatore distratto della domenica non sa che farsene. Ma oggi è un lunedì, il sole in una calda giornata di inverno che sembra l’anticipo di primavera invoglia  a passeggiare lungo la costa, Apani  e Punta Penna. Scenari di roccia, erbetta ad accarezzare i piedi, acqua salata ad offuscare occhiali, il vento solletica i capelli sussurra suoni con lievi soffi. Nel cielo le nuvole spiano i passi dei terrestri fra le scogliere, basse, e le calette. Camminare nella natura respirando a pieni polmoni positività che si pensava smarrita.

La torre costruita come tante altre torri costiere sotto il Regno di Napoli parla con le sue pietre della sua storia, dei tanti avvistamenti, dei tanti messaggi rinviati di torre in torre, come un veloce passaparola in cui il suono è muto e a parlare sono altre espressioni. Lungo la costa osserva il paesaggio, segna il cambiamento sulle pietre diroccate, la testa, o ciò che resta, rivolta in alto come la cresta di un gallo. Il crollo non tocca la sua strutturata bellezza, non altera il peso della sua opera ma ammonisce l’osservatore a prestare più attenzione a ciò che appartiene a tutti. Sulla battigia un piccolo granchio prende il sole, un fiorellino tra l’erba richiama una stella. In testa oltre la torre resta la voglia di rimanere.

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