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Luigi Ghirri, albe e tramonti di Puglia

Luigi Ghirri, albe e tramonti di Puglia

Il quotidiano che si rivela, una sala da barba, le sedie di legno a sostenere l’attesa, un raggio di sole a illuminare un tempo sospeso.

Nel buio della notte una donna illuminata dalla luce di una lampadina appesa sull’uscio della porta, china sul tagliere intenta con le mani a modellare piccole orecchie di pasta da immergere nel sugo. Il volo di una giostra che si confonde nell’azzurro del mare.

Luigi Ghirri è sceso in Puglia all’inizio degli anni Ottanta per fotografare un modo di essere, emozioni e sentimenti. I suoi scatti sono pensieri visivi dove la luce è “la sostanza reale che dà forma alle mie immagini … La luce è per me il vero “genius loci” … Attraverso il mio lavoro ho scoperto che esiste comunque un momento particolare in cui attraverso la luce finisce per rivelarsi sulla superficie del mondo anche qualcosa di apparentemente invisibile”.

Il risultato è Tra albe e tramonti. Immagini per la Puglia, cento scatti in parte inediti ora in mostra alla Fondazione Pino Pascali di Polignano a Mare.

“Abbiamo dimenticato l’enorme potere di rivelazione che ogni nostro sguardo può contenere”. Lui no, rivelava nel quotidiano, un accesso al mare, archi di preghiera, la scia di una barca a remi, piccoli angoli di vita vissuta tra poesia ed incanto.

Ghirri amava la Puglia, ci tornò più volte con Lucio Dalla, Gianni Celati, Gianni Leone.

Raccontava il viaggio con colori saturi di luce in una perenne estate della mente. Si percepisce il caldo delle giornate pugliesi, l’umidità della sera, il bianco dei muri. “Fotografo a colori perché il mondo reale non è in bianco e nero” ripeteva il fotografo che si nutriva del neorealismo delle parole di Zavattini e delle immagini di Antonioni, delle visioni oniriche di Fellini e dei testi di Bob Dylan.

“In fondo in ogni visitazione dei luoghi portiamo con noi questo carico di già vissuto e già visto, ma lo sforzo che quotidianamente siamo portati a compiere, è quello di ritrovare uno sguardo che cancella e dimentica l’abitudine; non tanto per rivedere con occhi diversi, quanto per la necessità di orientarsi di nuovo nello spazio e nel tempo”. In un perenne reincarnato visivo.

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