Visioni d'insieme

La fiamma di Elizabeth Siddal

La fiamma di Elizabeth Siddal

Ingrati i ranuncoli bianchi spengono una vita per vendetta, sotto un salice piangente per l’amore non ricambiato.

Innocente come le margherite riposa Ophelia, giovane e bella come le sue rose, casta e fedele come le violette intrecciate sulla sua testa, nel dolore delle ortiche e dell'adonide per quella vita spezzata. La regina dei prati ricorda l'inutilità della sua morte, mentre lei riposa eternamente tra i papaveri.

L’Ophelia di John Everett Millais non era solo una modella, famosa tra i preraffaelliti per i suoi lunghissimi capelli rossi, fiamme increspate al vento, e per i suoi occhi chiari come l’acqua. Ophelia era Elizabeth Siddal, musa prima e poi pittrice e poetessa. 

Nasce in una famiglia di otto figli, impara quindi l’arte di bastare a se stessa. Lavora giovanissima in una bottega di Cranbourne Alley, a due passi da Leicester Square nel cuore di Londra, come modista. Era il 1849, aveva appena vent’anni era già altissima e sottile come un giunco. Walter Howell Deverell la incontra lì per caso e ne rimane folgorato “Voi ragazzi non potete immaginare che creatura meravigliosamente bella ho trovato... È come una regina, magnificamente alta” dirà subito dopo ai suoi amici Dante Gabriel Rossetti e William Holman Hunt, tutti membri della confraternita dei preraffaelliti.

Differente dai canoni del tempo, eterea come un petalo di rosa, ardente come una fiamma. Loro sarebbero stati il suo stoppino, ma bisognava salvaguardare le apparenze di una società in cui la forma era tutto. Deverell chiede a sua  madre di intercedere con la madre di lei, ci andrà con la sua lussuosissima carrozza. Eleonor Elizabeth Evans vede in quella carrozza la speranza di un futuro diverso per sua figlia e acconsente.

Il primo a ritrarla è proprio Deverell che con le sue pennellate la fa diventare Viola de La dodicesima notte di Shakespeare. Poi Rossetti che se ne innamorerà e a seguire tutti gli altri. Millais impiega due anni per portare a termine il suo capolavoro, l’Ophelia shakespeariana. Per lo sfondo sceglie il fiume Hogsmill nel Surrey con la sua lussureggiante vegetazione. Per ricreare l’annegamento della figlia di Polonio fa immergere Elizabeth Siddal in una vasca da bagno riscaldata da alcune candele nel suo appartamento di Gower Street per giorni e giorni. Si ammala, inizialmente una bronchite, ma gli strascichi di quella malattia li porterà con sé tutta la vita.

Il quadro, nella sua infinita bellezza viene da tutti considerato un capolavoro, Elizabeth diventa il volto che tutti vogliono dipingere. In due anni guadagna abbastanza da lasciare il suo lavoro di modista. Più lei arde e diventa forte più Rossetti diventa geloso. Le impedisce di posare per altri artisti. Inizia a impartirle lezioni di pittura e lei, talento naturale, assorbe tutto come fosse una spugna. Passano altri due anni e il critico d’arte John Ruskin vedendo i suoi primi bozzetti e il suo primo dipinto vede in lei “un genio”, compra ogni sua opera e scrive all’amico Rossetti esortandolo a sposarla, per darle con il matrimonio la tranquillità economica necessaria per dedicarsi anima e corpo alla sua arte. Rossetti è un donnaiolo, la tradisce ogni volta che ne ha l’occasione e poi non la considera presentabile per la sua famiglia, troppo umili le sue origini. “O cielo aiuta il mio sciocco cuore, che non si è reso conto dello scorrere del tempo, che ha divelto il mio idolo dal suo posto e ha infranto il suo sacrario” scriverà Elizabeth poetessa.

Ruskin decide di darle uno stipendio annuo di 150 sterline per dipingere, sei volte quanto guadagnava come modista.

Per dieci anni Siddall e Rossetti avranno una relazione altalenante, lui affaccendato tra mille donne, lei persa nel laudano.

La fama di lei continua a crescere e nel 1857 è l’unica donna ad esporre alla pre-raphaelite exhibition di Londra. La sua salute peggiora, la sua fama cresce e si espande sino agli Stati Uniti. Gli uomini la limitano, Rossetti con la sua cieca gelosia, Ruskin con la sua volontà di controllarne la carriera. Lei vuole essere libera. Rinuncia alla rendita di Ruskin e parte. Scappa da quei due uomini che disponevano della sua vita a tavolino. Porta con sé una delle sorelle, prima alle terme, poi si trasferisce a Sheffield dove segue i corsi della Sheffield School of Art. Nel 1860 la malattia la costringe a letto, le condizioni non fanno presagire nulla di buono. La famiglia contatta Ruskin e lui a sua volta Ferretti che corre da lei, portandosi dietro una licenza di matrimonio. 

Si sposano e volano a Parigi.

“Molte miglia attraverso terra e mare, non chiamato, il mio amore ritornò da me; Non ricordo le parole che pronunciò ma solo gli alberi che si agitavano sopra la sua testa. E lui arrivò pronto a prendere e sopportare la croce che io avevo portato per molti anni, ma le parole arrivarono lente una ad una da labbra di ghiaccio, immobili e ottuse” scrisse lei in una delle sue poesie.

Vivono d’arte sin quando lei rimane incinta. Tutto sembra perfetto, il dolore e le sofferenze solo un lontano ricordo. Si abbandona all’amore ma ancora di più al laudano. Ogni sera, una dose. Il 2 maggio 1861 partorisce sua figlia, morta. Sarà un tracollo mentale per lei, incapace di sopportare tanto dolore. Passa qualche mese, il 10 febbraio del 1862 sono a cena dal poeta Swinburne, rincasano, lui ha un altro impegno ed esce ancora. Sarà l’ultima volta che si vedranno. Rossetti torna a casa, va da lei che apparentemente dorme, sul comodino una lettera d’addio e la bottiglietta del laudano vuota. Tentano di rianimarla, inutile. Lui non si arrende, chiama un secondo medico, poi un terzo e infine un quarto. Elizabeth non c’era più.

Era incinta, ma il terrore di perdere anche questa figlia era più forte della vita. La morte aleggiava su di lei da tempo, ne aveva scritto in versi “Allora siedi accanto a me e guarda la mia giovane vita dissolversi, poi la solenne pace della santa morte giunga rapidamente a te”.

Rossetti su consiglio dell’amico Ford Madox Brown brucia la lettera, vuole per lei un funerale cristiano. Tra i suoi capelli infilerà l’unica copia delle poesie d’amore che lui scrisse per lei. Era il 1862. Lui continua cercarla in ogni donna, i suoi lunghi capelli rossi, gli occhi celesti, la figura snella. dirà a tutti di vedere continuamente il suo fantasma.

Nel 1869 ottiene il permesso per riaprire la sua tomba. Vuole riappropriarsi delle sue poesie. Lo farà il suo agente Charles Augustus Howell che in quel preciso momento decide di consegnarla al mito. Dirà a Rossetti che Elizabeth era ancora bellissima, non morta, che i suoi capelli erano cresciuti a dismisura, fiamme ramate lungo tutto il suo corpo. Non ha più senso vivere, inizia a bere, prende il laudano, vuole andare via nello stesso modo in cui l’ha fatto lei. Lo salvano, ma solo per poco. Morirà nel 1882 nel ricordo di lei. “Come suonarono le mie parole così ferme e lente al grande e forte cuore che mi amava così tanto, chi è venuto a salvarmi dal dolore e dal torto e a confortarmi col suo amore così forte?”.

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