Femminismo: difendere o conquistare?

E' difficile, estremamente difficile, trattare quest'argomento, si corre il rischio di scrivere con la banale retorica con cui a volte lo si tratta. Tuttavia è doveroso provarci e correre il rischio, cercando però di avere sulla tematica uno sguardo critico e completo. Mi riferisco al femminismo. Da pochi giorni, infatti, è passata la festa della donna: ogni anno si assiste alla mediatizzazione della ricorrenza; tutti i mezzi di comunicazione, per un giorno, ne parlano senza tuttavia porre l'attenzione sul globale processo di autodeterminazione della donna.

La festa della donna inoltre, non dovrebbe essere una festa da vivere esclusivamente con divertimento, allegria e spensieratezza, dovrebbe essere soprattutto un momento di riflessione, di dibattito e condivisione; avviene talvolta, invece, che alcune donne lo vivano come un momento di sola, effimera euforia e che molti uomini, invece, non la sentano una ricorrenza loro vicina. Quest'approccio è estremamente controproducente e porta alla semplificazione della lotta che in tante cercano di portare avanti, conduce allo svuotamento della parola e del concetto dal suo significato più vero e profondo, diviene quasi, inconsapevolmente, una ridicolizzazione dei sacrifici che in molte hanno affrontato per ottenere alcuni diritti faticosamente conquistati. Uno su tutti è il diritto di voto, per cui in Italia le donne hanno lottato sin dal 1800 senza iniziali risultati, ma con grandi sofferenze, derisioni e ostilità, attraversando il primo ventennio del 1900, durante il quale in molti dei Paesi europei, come l'Inghilterra, si riconosceva parità di espressione alle urne, senza mai demordere, arrivando nel 1906 all'iscrizione politica in alcune liste comunali e due anni dopo all'apertura del Primo Congresso Femminile addirittura alla presenza della regina Laetitia; la "lotta" però non terminò e persino il presidente del consiglio Giolitti definì l'estensione del diritto di voto alle donne "un salto nel buio". Dalla Prima Guerra Mondiale però, le donne iniziarono a mostrare la loro importanza, ridotta poi nuovamente al ruolo di madri, subalterne e sottomesse alla volontà dell'uomo, dal fascismo. Solo con la Resistenza le donne riuscirono ancora una volta ad esprimere le proprie capacità rendendo il loro apporto nella Resistenza stessa e nel sostentamento economico fondamentali, tanto da giungere nel 1946 al suffragio universale. E' così che s'intreccia la lotta femminista a quella civile, sociale e politica, in modo "inconscio" e oggi è più che mai indispensabile, invece, riconoscerla come non scissa dalle altre lotte, non slegata, ma al contrario riguardante tutti i diritti civili, dall'istruzione al lavoro, alla segregazione sociale, di genere, razzista. Questo può avvenire oggi per la prima volta, anche grazie al fatto che i movimenti di lotta femminista sono legati in tutto il Mondo da un leitmotiv, dalle stesse ragion d'essere, agiscono in vista delle stesse battaglie, in modo organizzato e coordinato. Un esempio è il movimento "Ni una menos", diffusosi in pochissimo tempo in Italia con il nome di "Non una di meno" e in moltissimi altri paesi, a partire dalle donne Brasiliane che intendevano difendere il Paese dal rischio del governo Bolsonaro, a stampo razzista, maschilista e sessista, contro i diritti all'aborto e al divorzio, già faticosamente e solo parzialmente raggiunti, un governo che per nulla si batte per contrastare femminicidi, violenze e stupri. Questa condizione però è ora comune a molte Nazioni: c'è una tendenza alla retrocessione e alla distruzione dei diritti acquisiti, talvolta anche in modo subdolo, sostenendo l'idea per cui "il femminismo ha distrutto la famiglia". In Italia, paese già penultimo in Europa per partecipazione delle donne al mondo del lavoro e per il divario salariale con l'uomo, per esempio, alcuni partiti hanno cercato di limitare i diritti all'aborto ed al divorzio, inserendo nuovi e ostici passaggi burocratici e nuove limitazioni, portando il tema non a livello nazionale, che sarebbe senz'altro scandaloso, ma facendo approvare svariate mozioni nei consigli comunali (fu celebre il caso di Verona del 2018). La vera lotta, quella più difficile attualmente, infatti, non è quella che si compie per ottenere dei diritti quanto quella che si compie per mantenere quelli già ottenuti; bisogna però diffidare dai facili proclami di femminismo: attualmente soprattutto certe politiche comunicative di estrema destra, utilizzano il femminismo per alimentare il razzismo, strumentalizzando il ruolo attribuito alla donna in taluni gruppi religiosi attraverso ignobili generalizzazioni 'di razza'. Per questo è importante che si agisca in modo coeso, che anche gli uomini, a tutti i livelli sociali e civili, ma in particolar modo in politica, siano sinceramente al fianco delle donne in questo percorso duro e lastricato di ostacoli, riflettendo su quanto il genio e l'intraprendenza femminile se lasciati liberi di fiorire e di mostrarsi abbiano contribuito allo sviluppo umano e quanto ancora possano contribuire, quanto in realtà le positive conquiste delle donne si riflettano vantaggiosamente sulla vita di tutti, anche degli stessi uomini. Basti pensare, in Italia, a personalità come Rita Levi Montalcini, Margherita Hack, Maria Montessori (in prima linea per la conquista dei diritti delle donne) Alda Merini, Anna Magnani e in tempi più recenti a Samantha Cristoforetti, quale detentrice del record più lungo di permanenza femminile nello spazio, a tutte le ricercatrici e le operatrici sanitarie che in questo periodo continuano a lavorare per affrontare l'emergenza sanitaria che sta colpendo il nostro Paese, di cui tra tutte, mi piacerebbe ricordare la dott.ssa Francesca Colavita, ricercatrice 31enne che fino a prima di aver isolato il ceppo italiano di coronavirus, aveva lavorato con contratti precari per 6 anni nonostante avesse dato, attraverso pregresse esperienze, prova del proprio valore. D'altronde la vita comune, unitaria, pacifica e produttiva si ottiene solo quando tutte le parti dello stesso ingranaggio funzionano perfettamente tra loro, senza bloccarsi, senza essere d'impedimento l'una per l'altra; così la società progredisce, "funziona", se uomo e donna si vedono parte di un unico progetto da condividere nel rispetto delle scelte di ciascun individuo, a prescindere dal sesso. 

Democrazia, reale o apparente?
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