La divina attende il momento di ricevere l’applauso del teatro, il delirio, l’ardore, il trasalimento del pubblico finalmente acclamante.
Un applauso per lei, solo per lei, da non dividere né condividere. Vivere per essere acclamata, desiderata, adorata, con una divinità, dalla voce incantevole, che rapisce l’ascoltatore, lo fa prigioniero, per un atto, due e poi per il finale tutto con una capacità espressiva fuori dal comune, fuori anche dalle scene.
Maria Callas di Camilla Cederna, a cura di Irene Soave, edito da Nottetempo, è il racconto delle sfaccettature del mito moderno. Nel libro, Camilla Cederna, giornalista e protagonista della cultura del secolo passato, racconta Maria Callas, dalla nascita, alla voracità della bambina, dai primi vocalizzi allo studio, il ritorno in Grecia, poi le scene, i teatri, le opere, il successo, il dimagrimento, il matrimonio, l’amore, ma anche il dolore, la tensione, il dramma, le scenate, la rabbia, i desideri, le lotte. La divina in tutte le sue sfumature, un’attento ritratto che non tralascia l’ultimo periodo, l’allontanamento dalle scene, e la sua grande dedizione.
“La rara disciplina sul lavoro, quell’intelligenza che le scatta appena sale sul palcoscenico e si trova davanti all’orchestra, l’ostinata applicazione allo studio, l’intuito musicale finissimo son qualità che formano il lato più serio del suo carattere, quel suo lato di artigiana raffinata”.
Il mito resiste, batte il tempo, la voce conquista ancora chi la ascolta in una delle sue interpretazioni. Come nella Tosca del 1964 a Londra, “Maria Callas si china sul caduto pronunciando i tre gelidi: ‘Muori!’, poi trentacinque minuti di applausi alla fine del terzo atto: tutti gli inglesi come tarantolati dall’emozione, contorti e urlanti, selvaggiamente felici, ostinati tanto nel reclamare la diva quanto nell’emettere grida di rapimento”.